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SULLA PASQUA, LE TRADIZIONI E I LAVORETTI

Arriva Pasqua e, come in altre occasioni di festa collettive, ci troviamo a rispondere ai quesiti di genitori che giustamente ci domandano perché ci ostiniamo a non predisporre “lavoretti” da portare a casa celebranti le ricorrenze.

Alle domande ci piace rispondere rilanciandone altre e sollecitando dubbi, invitando i genitori a riflettere insieme perché le scelte che facciamo siano il più possibile condivisibili e quindi educative, trasformative anche di pensieri involontariamente stereotipati.

In primis ci chiediamo cosa sappiano i bambini delle tradizioni e se quanto conoscono sia sufficiente ad attivare in loro il desiderio di celebrare una ricorrenza al punto tale da dover realizzare qualcosa di rappresentativo per onorarla.

Su questo ci sentiamo di proporre che la costruzione di un senso di sacralità è uno di quegli apprendimenti che può formarsi attraverso il vivere appuntamenti in cui gli adulti sono spiritualmente coinvolti e attivi in rituali e cerimonie evidenti ai bambini.

Non si tratta di religione, la spiritualità come profonda collocazione di noi stessi in relazione a ciò che rappresentiamo nel mondo, è la base da cui partire se l’intento è condividere con i bambini tradizioni importanti. Una riflessione sui significati è dunque necessaria da parte degli adulti, sul cosa rappresenta per ognuno una tal tradizione e sul come coinvolgere i bambini nel celebrarla, perché quella cerimonia acquisti un significato di appartenenza culturale.

In questo senso non crediamo che un lavoretto avulso da una preparazione socialmente condivisa di una festa abbia rilievo, anzi ci pare che mortifichi la tensione che i bambini hanno nel volersi sentire parte di una comunità ricca di pensieri, simboli e celebrazioni che identifichino la comunità stessa.

L’altra domanda che ci e vi poniamo è su che senso possa avere per un bambino realizzare un dono comandato, pensato, progettato da altri che da sé. Come questo fare a comando possa sintonizzarsi, in senso educativo, con un’educazione che sempre più chiarisce l’importanza di sostenere il processo creativo e generativo del bambino, il suo attivarsi che nasce da una motivazione autentica, personale versus pratiche che si ostinano a pretendere che i bambini siano burattini da plasmare per rispondere al piacere degli adulti, al loro sentirsi rassicurati che ci sono cose che non muteranno mai nei secoli dei secoli (i lavoretti appunto).

E’ proprio nella presa di distanza anche da questi stereotipi, apparentemente innocui, che si fa largo un’educazione esemplare, rispettosa dei bambini e aperta a costruire con i genitori una relazione profonda con i propri figli, sana al punto, centrale, di non mettere i bambini nelle condizioni di fare per gratificare l’adulto, soprattutto in un’età di sviluppo in cui la dipendenza dallo sguardo d’amore è sostanza vitale.

Ed è su questo nodo centrale che la presa di distanza, il rifiuto della pratica del lavoretto genera la sua potenza educativa: il fare dei bambini va liberato dalle attese degli adulti perché il fare è l’espressione dell’essere e i bambini devono poter fare ed essere senza condizioni e senza pressioni.

I bambini non fanno per donare agli altri, fanno per conoscere, per il piacere che provoca assemblare materia, ne hanno bisogno per capire, per gratificare se stessi in trafficamenti creativi quanto più lontani da richieste che chiudono in prodotti predefiniti.

Soprattutto ogni creazione in cui un bambino è impegnato è un lavoro, a cui dedica attenzione, ingegno, soluzioni, tempo.

Il dono più grande che un adulto possa ricevere da un bambino è avere occasione di osservarlo creare, in quel tempo dove tutto è possibile, dove le cose vengono trasformate velocemente e imprevedibilmente dall’immaginario infantile.

In questo silenzio partecipe di chi affianca il bambino c’è la bellezza che ci può gratificare, se siamo disposti a riconoscere che quanto accade è un processo meraviglioso ed irripetibile.

Ciò che i bambini fanno in modo manuale e creativo, liberi dalle consegne e dalle cornici imposte dagli adulti, ha sempre un risultato originale ed irripetibile.

Aiutiamoli ad esserne felicemente protagonisti a lungo, evitando di mortificare la loro intelligenza con richieste che omologano e allontanano da quell’idea di essere umano che vogliamo difendere: unico, libero da stereotipi e ricatti di ogni genere.

Approfittare della ricorrenza pasquale per riflettere sulle tradizioni familiari perdute o per condividerne con i bambini quelle in essere può essere un lavoro interessante e stimolante per i bambini.

In piccoli gesti, realizzati in un tempo esclusivo e carichi di significati familiari e sociali, si racchiude il senso delle tradizioni che si tramandano e si costruisce appartenenza ad una collettività.

Il resto è commercio, e con l’educazione poco e nulla dovrebbe avere a che vedere.

Cinzia D’Alessandro

 

 

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